BIBLIOGRAFIA

VALERIO DEHO’ 

“Ivo Stazio: Motivi per dipingere “
“Si parla molto di astrazione a proposito della pittura contemporanea. Non so come facciano i critici a decidere dove inizia e finisce in un’opera d’arte”
André Masson
Vi è una sottile relazione tra segno, paesaggio e materia nell’opera di Ivo Stazio che costituisce una costante poetica che ha un’eco immediata. Affiora una struttura silenziosa e lirica che crea un felice equilibrio: una sorta di dinamica interna che arricchisce lo sguardo di attese emotive, di ulteriori possibilità . La tecnica dello spatolato inoltre conferisce un rilevo importante ai suoi quadri, perché tutta sembra trasudare luce. In effetti, anche il suo astrattismo lirico, resta imbrigliato nelle percezioni dell’artista raccolte nella sua vita di tutti i giorni. I suoi soggetti fanno parte interamente della sua esistenza, ma nello stesso tempo perdono, attraverso la pittura, quella referenzialità che li vincolerebbe all’esistenza, all’occasionalità. Si può esattamente dire che i suoi non sono “soggetti”, ma “motivi”, alla maniera degli Impressionisti. Si tratta in altri termini di spunti per far rivelare la pittura che si nasconde dentro le cose, lungo le strade, negli orizzonti ampi dei campi. Stazio organizza visivamente queste occasioni, questi “motivi”, non dandogli apparentemente eccessivo rilievo, ma facendoli invece risaltare proprio celandoli sotto la spessa superficie pittorica. Si tratta di considerare, in modo maturo e consapevole, che la pittura è già di per sé il soggetto di se stessa e che in effetti ogni figurabilità possiede i limiti del riferimento e di un’emotività legata alla memoria personale. Certamente con questi ultimi lavori il focus della sua espressività è riuscito a dar emergenza ad uno stato di pluralità della materia che è concrezione di esperienze, apertura verso strati pittorici da cui traspaiono memorie segniche, una sorta di dialettica temporale in cui trova posto la sua decennale esperienza della pittura.
Per questo l’ opposizione tra figurazione e astrazione non si pone. Non solo perché la sua pittura possiede ampie memorie che affondano nella pittura bolognese da Ilario Rossi o Pompilio Mandelli, ma perché quando l’espressione tende più decisamente verso l’ astrazione, in fondo si entra come referenzialità nella storia dell’arte contemporanea nel campo di alcuni veneti come Santomaso, che proprio avevano inteso la pittura come valore autonomo e riconoscibile al di là di ogni sua attribuzione ad un genere piuttosto che ad un altro. Da questi artisti Ivo Stazio ha saputo prendere la sensibilità coloristica, la capacità e l’eleganza di lasciare al colore il compito costruttivo della composizione. Il resto non conta, si tratta di pittura pura e basta. Ma questa semplicità è così convincente da occultare la verità contenuta nella frase: Il semplice discende dal complesso. Tutta la sua opera è disseminata di segni visuali ( di veri e propri vettori) che conducono la lettura verso epifanie e zone d’ombra , stimolazioni visive e sensazioni tattili . La ricercata stesura dei piani, l’intensa progettualità unita alla sensibilità di cogliere i suggerimenti del caso, sono suggestioni , procedimenti che trovano ampia espressione sulla tela. Nascondere per rappresentare, suggerire per affermare, risvegliare il senso del tatto per acuire lo sguardo. In questa polarità percettiva s’ insinua il piacere visivo dell’opera .
Ed in particolare si apprezzano molto nel suo lavoro gli effetti luminosi, la ricercatezza nel predisporre una tavolozza adeguata opera per opera oppure la sensazione di una superficie pittorica che si fa articolazione visiva di piani e d’intersezioni. Stazio crea geometrie di puro colore. Colori caldi, pieni che conferiscono ai lavori una carica emozionale che vibra con la luce radente, il segreto della sua profondità cromatica consiste nella dislocazione delle superfici interne, negli accostamenti che sanno superare ogni complementarietà, ma anche nel tempo esteso di lavoro, nella lenteur ,nella possibilità di riflessione che tutta la pittura richiede per raggiungere la qualità. Questa componente meditativa si esalta laddove l’artista rappresenta l’acqua, e i giochi che la luce vi intrattiene. Ancora un riferimento all’universo impressionista, ma in Stazio si tratta solo di un’ inevitabile ascendenza, in effetti in questi quadri il pensiero associativo si sposta verso Schifano e certe sue soluzioni gestuali in cui i segni tracciano delle parabole ricorsive.
La pittura di Ivo Stazio dà quindi per risolto il problema della rappresentazione, perché ogni paesaggio esterno è qualcosa che ci portiamo dentro, ogni forma, come la cupola di una chiesa, porta in sé lo stupore, ma anche la permanenza. La pittura sa far tesoro di tutto questo, e la sua è una pittura sempre in movimento perché la tensione scende o sale in punti distinti, lo sguardo è invitato ad una sorta d’ erranza lungo la superficie. E’ come se le emozioni originarie si riuscissero definitivamente a materializzare. Per questo trovano una forma, che è quella che l’artista sa creare per loro, attraverso un percorso costruttivo che sa determinare un motivo per esistere, nella pittura e con essa.

VALERIO GRIMALDI

“Il dolore dentro “
Rintracciare dopo la scomparsa di Licia Sovrani Lamma e di Giuseppe Gagliardi un erede possibile del dipingere sospeso tra astrazione naturalistica ed evocazione, esorcismo di colore metabolizzato emozionale e ragionato insieme appariva sempre meno probabile, forse impossibile. La comparsa sulla scena dei pittori di casa nostra di un giovane artista come Ivo Stazio può fare ipotizzare questa continuità. Stazio continua la grande capacità coloristica e tonale, il succedersi di cromie rancide e carnose…i colori che sembrano seguirsi a piani, la solidità descrittiva che fece scrivere a Francesco Arcangeli una storica critica sugli “ultimi naturalisti”. Queste opere da una parte registrano un grande accanimento tonale, un compiacimento coloristico che subisce improvvise accelerazioni di impasti cromatici assolutamente desueti, un plein air conquistato attraverso una serie di rarefazioni, di filtri che lo allontanano da un naturalismo del quale le immagini potrebbero compiacersi. Alcune tenuità morandiane e schermature di colore, la non perimetrazione dei volumi, lo sfuocarsi che si combina nelle calcinature gessose dei calanchi o in una matericità quasi informale dell’affresco sono stadi aggiuntivi che Stazio propone nella tensione di affrancarsi da un monitoraggio di costanti impressioniste. In effetti il passaggio ulteriore che Stazio compie è quello verso un neo-naturalismo che aggancia insieme rarefazione, estraniazione del visto e accentuazione, concentrazione, sintesi di luce, piani, fughe, sovrapposizioni, incantamenti che il visto rappresenta. Il colore ed il suo doppio per parafrasare Artaud. Ma sempre con il colore e dentro al colore.

PAOLO LEVI

“Recensione” – da Catalogo D’arte Moderna Mondadori
Ivo Stazio è pittore lirico-espressionista, tentato a distanza dall’informale. Opera con il colore come un compositore di fuochi d’artificio, ma che sa però dosare le tonalità, i timbri cromatici, rendendoli tenui, grazie a un intingolo di notevole virtuosismo. A Ivo Stazio, in effetti, sono sufficienti pochi tocchi di colore – segni pittorici espressivamente decisi – per alludere a una marina con ombrelloni o per lavorare con larghi pennelli e spatole, per esprimere masse di rossi, di bianchi, di verdi come nel dipinto “la chiusa sul Reno”.

CELIDE MASINI

“Gli echi illusionistici ” – Recensione da Il Resto del Carlino
Una materia succosamente densa, umorale e cromie solari dai toni saturi, lirici e sensuosi, un vitalismo emozionato sostengono la energica e misurata dinamica gestuale che in Stazio, al di là delle predilazioni per “l’ultimo naturalismo” informale di arcangeliana memoria, lega lontani echi illusionistici a una inarrestabile fuga verso l’astrazione totale, verso un più rastremato e rarefatto linguaggio mentale. È la via per la quale la sua poesia del reale diventa aurorale intimismo fresco, immediato e l’esaltazione percettiva è sopraffatta da una suggestione vibrante e intensa. La luce, notoriamente ritenuta principio originario, è rigogliosa sostanza delle cose e risposta dell’esperienza interiore che l’artista propone con elegiaca sospensione e appassionata sincerità di intendimenti. Stazio è giovane, per cui l’attività espositiva è necessariamente ridotta. Dipinge però da molto dando alimento a una passione che l’accompagna da sempre. I punti privilegiati risiedono nel ricordo di visioni che ha raccolto per farne un mondo personale da trascrivere secondo un dettato che lo porta a una nuova realtà.

MONICA MIRETTI

“Stazio,colore e materia” – Recensione da Il Resto del Carlino
La personale di Ivo Stazio presso Piccinini Arte è un’esplosione di colore e di materia. Presentando i lavori degli ultimi anni, in gran parte paesaggi, l’artista si lascia andare a una ricerca cromatica che predilige toni solari e caldi. Dietro questi lavori si avvertono gli occhi di artisti di più lunga storia che certamente hanno segnato le sue scelte espressive. Il punto di partenza di Stazio è il dato di realtà che appare ancora riconoscibile tra le spatolate cariche di colore.

ENZO DALL’ARA

“Colore, luce e materia in metafore di natura; le atmosfere sospese di Ivo Stazio”
Un paesaggio è uno stato d’animo, scriveva Henri-Frédéric Amiel in “Frammenti di un diario intimo” e tale sembra essere l’approccio ai dati di natura da parte di Ivo Stazio, pittore bolognese ora presente con una personale alla Galleria Art Studio EM di Ravenna, che su tematiche paesaggistiche svolge una sperimentazione estetica votata a una percettiva emersione d’atmosfere sospese. L’osservazione, interiorizzata in sentori di narrazione memoriale, evolve nel poliedro della metafora pittorica, seguendo un cammino ideativi che conduce ad una traslitterazione sovente aniconica del reale, improntata sull’effluvio di una materia-colore in cui la luce è protagonista unificante dell’opera. E la parabola dell’allusione-illusione che si conferma quale dinamismo speculativo, atto ad evidenziare suggeriti ambienti fisici, percepiti nel fermento di una ricerca di verità d’essenza, modulata secondo una plastica stesura pittorica, che si concilia con una potente gestualità segnica e cromatica. Non è difficile cogliere la sintesi di sembianti riconoscibili, come brani di mare, di fiume, di collina, ma queste emergenze figurali abdicano piuttosto all’astrazione materia, talora informale, echeggiante le esperienze dell’”ultimo naturalismo” arcangeliano. Dal paesaggio visibile l’artista procede, quindi, nel dominio espressivo del pigmento, in sintonia con turgori tonali e timbrici, che inducono lo scavo introspettivo della natura e dell’uomo. È l’anima pittorica che si eleva a voce corale di aure stagionali, impregnate nel divenire unico di accensione dello spirito, assonanti alle suggestioni luministiche di tattili ecosistemi. Ed è singolare come ogni tocco cromatico sia elemento di un insieme armonico, in cui ciascun intervento sottende una relazione biunivoca fra soggiacente cifra figurativa e dichiarata azione astrattizzante. Anche le nature morte o le rilevanze floreali, a colori sovente vividi ed umorali, ubbidiscono all’entità di una poetica che tramuta in apogei dell’epos fisico gli accenti vibranti di una natura lirica.

VLADIMIRO ZOCCA

“Il paesaggio nel corpo, il corpo nel paesaggio”
Tra figura e trasfigurazione al limite del dissolversi incontrollato delle forme, la spatola di Ivo Stazio esplica o raggruma intrichi di corporeità vegetale, come mangrovie dell’inconscio, che si manifesta nel molteplice rifratto di una superficie acquea. O stende pastose macchie che si muovono, ascendenti, su un cielo che cerca, con discrezione, di farsi strada sotto una superficie variegata dei colori della materia. Come in un infinito schermo ideale si addensano, diradandosi in piccoli laghi di colore, corpi del sentire nel paesaggio del sé. È un’azione di maculazione materia non violenta che, lieve, si dispiega segnata da concrezioni cromatiche contrapposte. A volte sono strappi di colore che si appassionano in corpi emotivi di sensi impegnati a formare materie della vita percettiva.

ELISA MOTTA

“Esposizione di Ivo Stazio” – da Il Giornale di Bergamo
Ivo Stazio, artista bolognese giovane ed estroverso che si cimenta con un moderno paesaggismo di forte suggestione ed intensità. “Amo la pittura di Mandelli, Gagliardi e Ilario Rossi – esordisce – la scuola bolognese come la mia, e come me inclini a cogliere le atmosfere Emiliane, così varie ed intense. Ho esordito con uno stile assai vicino al realismo tradizionale, che ho poi abbandonato per cercare altre vie”. Marine e profili urbani affiorano nelle sue composizioni materiche, dove il colore ad olio, che trova compattezza e spessore nella mescolanza con terre, sabbia e segatura, si miscela in impasti variegati di matrice informale. L’occhio di Stazio si concentra sulla superficie dell’acqua che lambisce gli scogli o si distende in un anfratto, mentre rapidi colpi di spatola, solcati da incisioni gestuali, imprigionano ondulazioni e bagliori, schiume e riflussi. L’ambiente circostante è solo un riflesso mobilissimo, come indefiniti e destrutturati sono i profili delle antiche testimonianze urbanistiche e architettoniche, che evidenziano una sensibilità attenta alla storia e al procedere del tempo.

CHIARA PITTAVINO

“Forme e colori in una personale visione del mondo contemporaneo”  – da “Corriere dell’Arte di Torino
E’ in corso presso la Galleria d’Arte Micrò di Torino la personale “le forme del colore” di Ivo Stazio, pittore lirico-espressionista che da tempo ha fatto del colore la sua personalissima visione del mondo contemporaneo. Il pittore è presente dai primi anni ottanta in molte Gallerie ed esposizioni italiane e straniere dove ha da sempre riscosso notevole successo di pubblica e di critica. Oltre a numerose mostre personali, Stazio ha partecipato e esposizioni collettive di grande prestigio tra le quali ricordiamo quelle di Bologna, Udine, Livorno, Milano, Parigi, Bratislava e Barcellona. L’artista, affermato nel mondo dell’arte per propria esperienza e gusto, punta su uno studio meticoloso e ben strutturato che va dalla tecnica all’impostazione cromatica. Le opere sprigionano un’energia dinamica e vitale impostata su spatolate materiche e vistosamente dense; graffiature decise e corpose che sprigionano un particolare senso tattile nel fruitore, che, attratto dall’oggetto pittura sembra riuscirne a percepire rugosità, ed estensione. I pigmenti, distesi sulla superficie, appaiono dovuti dalla mescolanza di un impasto di tempere particolarmente grumose ma la luminosità che ne deriva smentisce le origini svelando una venatura assimilabile unicamente all’olio. La luce, creata da un preziosissimo cromatico incontestabile, nasce da un’armonia di colori perfettamente bilanciata. Una capacità, quella di Stazio, di stare in equilibrio tra emozione e sentimento, tra calcolo e passione; l’artista si muove con grazia su un espressionismo cosciente e ragionato riuscendo a non cadere mai nella trappola di un banale informale. I paesaggi che propone – è definito non a caso dalla Critica contemporanea uno degli ultimi naturalisti sospesi tra astrazione e evocazione – offrono l’immagine di ampie distese concentrate su sintesi di luce, sovrapposizioni e rifacimenti. Ivo Stazio è stato premiato durante importanti competizioni d’arte italiane ed internazionali tra cui il “Premio Nazionale d’Arte Mondadori” nel 1992 e il “Premio De Nittis” nel 2001. Le sue opere sono presenti su cataloghi, pubblicazioni ed edizioni di rilevanza internazionale.

MICHELE TURRA

“paesaggi di memoria”
Per Hegel il fascino dell’arte, più che nell’apparenza sensibile della sua manifestazione, il prodotto artistico, sta nell’idea contenuta in esso. Parlando con Ivo Stazio, pittore bolognese formatosi alla scuola di Guido Bugli e affascinato dall’informale, si capisce come il suo dipingere prenda le mosse da un pensiero, da un modo di sentire la vita. Uno sguardo che, miscelando ciò che resta del passato col caos e le mutazioni del presente, dà voce alla natura. Ne nascono opere di grande suggestione, realizzate con la maestria di chi unisce al talento e alla sensibilità lo studio di anni. Riflessi sull’acqua ricordando Monet e le sue ninfee; città in bilico tra passato e presente con l’antico delle cupole a troneggiare sull’underground sottostante; nature morte: questi i soggetti di Stazio, la cui ricerca sul colore e la materia non vanifica l’importanza del disegno. Affacciandosi in maniera estremamente personale sull’informale, Stazio non rinuncia all’impatto figurativo, dui permane una lieve traccia nella parte alta delle sue tele, mentre in quella inferiore il gesto espressivo è totalmente istintivo. Paesaggi dipinti a olio misto a terra e sabbia, con la spatola anziché il pennello, dove tagli mobili determinano giochi di luce e intrecci di colore; le sue opere sono ricche di materia e piene di colori, che sia il rosso sangue di una città esasperata (la Bologna di oggi, diversa da quella di un tempo), come il violaceo del mare ravennate contaminato dagli stabilimenti chimici. Rimpianto di ciò che si è perduto, vitalità per il movimento e il sentimento dell’esistenza, quella di Stazio è pittura di memoria, sia per la traccia di passato ricorrente nei lavori, sia perché l’artista dipinge ciò che ha visto ed interiorizzato (a volte fotografato) nei suoi percorsi. La sofferenza dell’esistenza è affidata ai colori e allo spessore materico dei paesaggi: città piene di smog, valli di acque e terre segnate dalla malinconia. Grande assente, spodestata dal mondo che ha creato e del quale non ha saputo conservare la bellezza, la figura umana.

FRANCO BASILE

“Luna Calpestata”
Le metafore della realtà di Ivo Stazio traggono origine da un insopprimibile desiderio di fuga dall’immediato. Scorre quindi il dettato visivo di una mescolanza di razionalità e passione, il sentimento alberga dietro la pellicola che riporta volontà e conoscenza mentre il segno cerca di rivelare ciò che l’occhio non può contemplare, ma che immagina. Una chiesa sul colle è un tocco carminio sovrastato da lembi di verde rame, il mare, con le sue profondità di silenzio, è una lastra spatolata di blu e di bianchi schiumosi, i campi sono un tabulato dove il chiaro e lo scuro dialogano con il profilo degli alberi; e il tempo, con le albe e i tramonti, è un trapasso di velature rosate e di note vermiglie, fino all’ovatta del crepuscolo che si sfilaccia via via, oltre l’ambito del distinto per consumarsi nel panno scuro della notte. C’è in Stazio un’attrazione duplice: la vita nel suo fluire e nell’esistere oggettivamente con tutte le sue componenti di luci e di incanti sempre nuovi, e dall’altra parte la necessità di ridurre tutto ciò a immagini autonome, a un raccordo tra rigore e sintesi formale che si fa esito di una metamorfosi interiorizzata della dimensione. Così pensando, è come osservare il mondo rimanendo appostati nel sogno e sfiorare, per quanto è concesso alla condizione umana, il senso dell’indefinito. Questi giorni sempre uguali eppure così mutevoli nella diversità segnata dalle regole della natura, questa luce che prende i colori sottoscritti dal tempo, questi tratti d’esistenza assiepati come un sorriso che s’accende e si spegne nel passaggio delle ore. L’artista assiste allo svolgimento della vita come uno specialista della vertigine. E come Braque, ama interpretare la realtà in modo allusivo fino a far passare se stesso nell’immagine, fino a rimanerne stordito. Non ha bisogno di correre lontano per riunire attorno a sé gli elementi necessari al componimento pittorico. Costruite per macchie ora vaporose, ora dense di umori trasgressivi, o velate nello spazio della suggestione, le immagini sono per lo più la trascrizione di visioni dove predomina l’elemento naturale. …”Tutto è fuori di noi” diceva Nicolas de Stael. E ancora “ lo spazio della pittura è un muro, ma tutti gli uccelli del mondo vi volano liberamente. A tutte le profondità”. Elementi che nascono nel territorio della suggestione, i colori si associano a masse in veloce movimento, in assoluta libertà, nella determinazione simbolica del reale, ma anche dell’irrazionale senza costruzioni che inducano l’artista all’obbligo delle corsie formali o astratte. Complessa, nella sua apparente immediatezza e semplicità, la scrittura di Stazio condensa enunciati volutamente contraddittori, voci attraverso le quali egli intende rapportarsi alla verità, che è sempre complessa. …L’accenno a De Stael non è casuale, proprio per la dilazione allusiva delle accensioni, per la presunta ambiguità di un linguaggio che sfuma nell’indefinito…è sotto l’impero della luce che vede e giudica la realtà delle cose. È attraverso la luce che l’artista vede i colori delle cose, il modo in cui si fanno più intensi o più lievi, il modo in cui si modificano e si trasformano da un tono all’altro. Fedele a un fare antico, Stazio è una specie di transfuga dell’era pokerista e comportamentale. Ama indugiare ai margini del tempo per trascrivere in chiave lirica la nuvola di mistero che ai suo occhi ammanta le cose. Osserva una collina oltre la quale immagina l’arcano, tratta le visioni d’autunno con la confidenza di conosce la bruma, incornicia la notte dietro la finestra anche se la luna non gli sembra più la stessa dopo che le hanno tolto un po’ di mistero. Ci hanno camminato sopra, l’hanno calpestata. L’uomo vuole andare sempre più lontano, forse vuole sfuggire a se stesso, al sogno che lo impaurisce, cavalcando macchine bizzarre ma concrete come i computer. Stazio non ha paura del sogno, simile ad un rabdomante delle emozioni cerca i punti che danno accesso alle cose. Con la spatola accarezza il mondo e immagina di trovarsi alle soglie di un eden perduto, soffia sulla vita e i grani della polvere condensano nuove realtà. Non ha importanza se la luna non è più la stessa, basta un’ombra per alimentare il ricordo e ritrovare, forse, parte di ciò che s’è perso.

PAOLO LEVI

“A un passo dall’astrazione”
A un passo dall’astrazione, la pittura di Ivo Stazio descrive paesaggi fatti di riflessi luminosi, dominati da un colore distribuito in larghe tacche che tuttavia rivelano allo sguardo i particolari di un mondo perfettamente riconoscibile, esplorato in tutte le possibili gamme tonali. La materia pastosa che si posa sul supporto sotto la spinta di un gesto apparentemente istintuale, persegue una trama segnica premeditata e rielaborata da una memoria visiva vigile, che comunica al tessuto cromatico la partecipazione emotiva dell’autore. In queste composizioni vibra uno spazio disabitato, sospeso fra terra e cielo, spesso dominato da distese d’ acqua che consentono contrasti armoniosi e rimandi specuIari, 0 disteso a volte in superfici monocrome, dove la predominante tonale invade gran parte dello spa-zio scenico, pur brulicante e variegato, diventando protagonista di una narrazione inquietante. Diverso e dunque 1’ap-proccio se si osserva da vicino 1’impasto, spesso corrugato, e 1’infittirsi dei tratti, spesso contrastati, che si alternano a campiture larghe e distese. Se invece si accoglie 1’insieme da una certa distanza, il racconto si ricompone, restituendo all’immagine la completezza visiva e 1’intenzione impressionistica. Questo dato in particolare emerge nel sapiente gioco di riflessi di Specchio di luce, dove l’ osservatore percepisce da lontano la morbidezza dei verdi e degli azzurri, 10 scolo¬rire dolce delIa luce nell’ acqua, e gli effetti delIa rifrazione. Ma a un esame ravvicinato si coglie la pienezza dell’impianto segnico, la turbolenza delle tacche di colore, il gioco degli accostamenti e, in definitiva, la sostanza compositiva di una pittura informale. Appare invece pili omogenea, nonostante 1’analogia tematica, la pittura di Sassi, tutta giocata fra il contrasto materico delIa pietra e dell’acqua, fra l’ opacità e illucore, fra la luce e l’ ombra. Da sottolineare invece e il sapiente impasto segnico e tonale di Lungomare e Nel viola: nel primo caso un ampio seno di mare di calori rosati e vio-lacei, su cui si specchia un cielo variegato al tramonto, contrasta con il profondo blu violaceo di una costa cittadina immersa nel buio. Anche qui le pennellate si infittiscono e si allargano, creando macchie di contrasto con la linea chiara e sinuosa di una via litoranea. L’effetto di compattezza si infrange a un’ osservazione ravvicinata, rendendo esplicito l’in-tervento delIa mana e la maestria di chi l’ha guidata. Pili distesa appare invece la superficie del secondo lavoro, dove agisce una tavolozza quasi monocromatica, e ancora di pili ci si accosta a un’ esecuzione di taglio informale. II viola e il blu si spartiscono uno spazio piatto di terra e di acqua, con un breve accenno di verde e una piccola costruzione bianca che confermano e sottolineano, pili che interrompere, la cantinuità visiva dei toni di prevalenza. Le campiture piatte e aprospettiche si ordinano in fasce sovrapposte, in un calando ton ale segmentato verso l’alto, che crea un’ingannevole fuga verso l’infinito. Vago e nebbioso e infine i1 paesaggio urbano nella composizione titolata L’imbrunire, dove le mac-chie di pigmento alludono pili che descrivere una città arrampicata su una collina. Pili che mai complessa la trama segni¬ca, che precisa spazi luminosi, forse un fiume, palazzi moderni e strutture architettoniche pili antiche e fatiscenti. II bru-lichio delIa vita e soffocato in un grigiore diffuso, che sembra voler cancellare le tracce di un’umanità che, per altro, e dovunque emblematicamente assente in questa bella pittura che parla un linguaggio fatto solo di pause silenziose.

VITTORIO SPAMPINATO

“Ivo Stazio”
Con la pittura di Ivo Stazio abbiamo un documento per affermare che la pittura del ‘900 è quel “linguaggio” concettuale venutosi a definire dall’avvento del post-manierismo che si riconduce al simbolo e alla metafora mediante l’uso attento e compiuto del segno, del colore e della materia. Infatti Ivo Stazio ci mostra, attraverso una figurazione a volte apparentemente semplice, – perché concettualmente semplici sono le sue basiliche, le sue foreste e le sue città -, la complessità degli equilibri che l’arte contemporanea racchiude in sé. In tal caso, tutti potremmo azzardare, nella superficialità molto spesso in uso agli osservatori, che saremmo capaci di andare a realizzare anche noi “quei quattro schizzi sulla tela che ci spacciano per arte” (chi non ha mai sentito commenti simili anche al riguardo delle opere dei grandi artisti del ‘900), ma se veramente poi ci provassimo, ci renderemmo pure conto che se non fossimo dotati di una grande qualità gestuale e di una consolidata tecnica, sposata ad un concetto filologico tale da spingerci allo studio e alla corretta rappresentazione segnica del soggetto-oggetto che abbiamo in mente, ogni tentativo risulterebbe cadere in amene banalità e in accozzaglie di colori prive di profondità, di tenuta d’insieme, di equilibri, di “letture” insomma. Così, con Ivo Stazio abbiamo l’opportunità di osservare come la materia, il colore e il segno, questa triade apparentemente semplice seppur profondamente complessa nella sua sintesi di “amorosi sensi ed equilibri estetici”, si realizza in una composizione di elevata poetica semiotica, dotata oltretutto, nella sua immediatezza, di grande chiarezza e pulizia gestuale, di freschezza e di calore. Una triade, oltre che composta, distinta e ricorrente in quantità e qualità tale da determinare infine lo stile della pittura dell’artista. In tutto ciò risiede l’importanza della proposta di Ivo Stazio, cioè in una seria qualità, figlia di uno studio costante e coerente su cui l’artista si applica costantemente da lunghi anni, che dimostra l’acquisizione di una tecnica scrupolosa ed attraente, oltre ad una capacità realizzativa consolidata e di suggestione enfatica molto efficace, che ci consente altresì, sia quando osserviamo una sua figurazione dai contorni sconfinati e sconfinanti su diverse proiezione segniche, sia quando ci immergiamo nelle sue astrazioni colorate e materiche, la netta percezione della bellezza dell’arte contemporanea attraverso il magico equilibrio delle sue componenti.

ADRIANO BACCILIERI 

“L’opera di Ivo Stazio “
Questa lettura accompagna l’opera di Ivo Stazio compiuta nell’ultimo biennio. Ne ripercorre la rotta dal punto in cui la sua pittura ha visto perdersi all’orizzonte l’ultimo lembo riconoscibile di un’immagine. E si è lasciata dietro, come una terra lontana ormai invisibile ma non dimenticata, forme e figure di un paesaggio di affezione, presenze quotidiane a lungo blandite dall’occhio e intrise d’emozione: fino al punto da venir tradotte, entrambe, in un puro sedimento di materia e colore, sul quale ancora il colore, fatto talora segno spalmato, imprime l’orma labile di resti sopravvissuti, o traccia la scia di un qualche contorno sfibrato di cose remote. Sono stati colli bolognesi, vedute di S.Luca, nature morte le presenze che Stazio, negli ultimi anni novanta, ha consegnato al confine figurativo della sua pittura, prima di procedere “oltre”. Anche se in rotta verso limiti “altri”, ha portato con sé il seme di quel naturalismo ricco di memorie, riferimenti, suggestioni. Dalle opalescenze di Norma Mascellari ai bagliori di Gagliardi; dalle campiture larghe di Ilario Rossi alle stratificazioni rapprese di Carlo Mattioli. E quel seme, trapiantato in nuovi territori della pittura, ha ammantato la superficie dipinta con il proliferarsi infinito della sua stessa essenza materia, segnica e cromatica. …Metafore di declivi, di balze, di forre, di marine, di campi dissodati e sarchiati, di stati tettonici, di ruderi compressi, di limiti contesi fra spessori terrestri e trasparenze atmosferiche; ma metafore che riescono infine nella sola pittura e nella coralità della sua voce fra i bassi della materia e gli acuti melodici del colore, o graffianti del segno….…Ivo Stazio è un pittore ma è anche un intelligente cultore della pittura; disposto ad accettare la lezione che l’arte impartisce attraverso la sua storia e le figure che hanno concorso a formarla. Nel suo lavoro si avverte una forte determinazione, ma non c’è la presunzione di tanti neofiti che si astengono dal confronto pensando che la loro supposta originalità li ponga al riparo da qualunque giudizio e riferimento. Anche per questo, Stazio è un artista degno d’attenzione e rispetto.La sua opera lo prova: per l’assiduità posta nello sfogliare gli spessori naturalistici delle immagini dipinte, in modo da procedere oltre, in quel suo scavo febbrile e incessante nelle viscere della pittura; per l’ostinazione con la quale saggia – nell’affondo compiuto e in corso – le capacità di escursione della “sua” pittura fra macro e micro dimensione, fra ‘intero’ e ‘frammento’ emersi dallo scavo. Stazio procede in tutto questo senza mostrare sostanziali cali di tenuta nei diversi passaggi, ma riuscendo anzi a far apprezzare la perfetta analogica fisica, la medesima qualità essenziale, che esiste fra l’intero flusso magmatico defluito dal cratere dell’opera, ed ogni suo singolo lapillo. Nei limiti della dimensione assunta, Stazio affronta poi le variabili che la pittura gli propone nella dualità ‘intensiva-estensiva’ delle sue valenze; e, in tale ulteriore escursione, l’autore alterna composizioni ‘rapprese’, segnino-materiche, e superfici campite, dove pochi tratti gestuali misurano lo spazio dipinto con la stabilità improbabile di un elemento architettonico sopravvissuto per poco alla rovina. La materia della pittura assume così il ruolo di protagonista nella opera di Stazio, affidando le sue riflessioni ai molteplici registri impressi al colore, alla pasta ‘modellata’ del colore, ma concedendo anche al contrappunto delle tracce di una ‘figurazione residuale’ un ruolo niente affatto secondario. Segni incisi di profili collinari, scarpate collassate, vegetazioni abrase, specchi d’acqua fustigati, terreni biffati, riflessi convulsi, orizzonti alti ritagliati e contesi alla pressione terragna della materia cromatica accumulata, pianure spalmate, smottamenti innevati: tali sono, con altre analoghe, le suggestioni ‘figurali’ (ossia solo virtual-mente figurative) che emergono dal tachisme adottato da Ivo Stazio. La scelta, insieme tecnica e poetica, corrisponde pienamente alla dimensione non solo estetico-stilistica ma anche storico-culturale dell’autore. Ricorre anche per questo, considerando l’attuale opera di Stazio un riferimento saliente ad Ilario Rossi, oltre quello indicato in apertura; non si tratta più del Rossi prima maniera, magistrale interprete delle ‘vedute’ bolognesi già prese a modello da Stazio nelle sue prove d’esordio, ma dell’artista capace, dalla metà degli anni cinquanta ai primi anni sessanta, di interpretare l’idea dell’ultimo naturalismo arcangeliano nella sigla, pregna e risentita, di un singolare tachisme davvero europeo per qualità e valenza. Nel medesimo contesto storico-artistico, che sembra proporsi a Stazio come una tendenza d’elezione alla quale affiliarsi, anche se in sequenza diacronica, la rosa dei riferimenti può ancora essere estesa – oltre il tachisme canonico di Riopelle – ad una cometa alta e sovrana, Nicolas de Stael e la sua pittura mirabilmente plasmata in strati compressi che contendono lo spazio al colore aereo delle superfici campite, come in una dialettica radicale fra terre assolate, solitarie e cieli infiniti e sconosciuti di una dimensione dell’altrove. Ma anche l’intrico serrato e incrociato delle textures informali di Piero Ruggeri, o, in variabile più naturalistica, le trame assiepate di un Piero Giunni (meglio che di un Borlotti, o, diversamente di un Chighine) possono integrare la mappa di orientamento per il lavoro di Ivo Stazio. Senza ignorare nemmeno certe liquidità smaltate e riflesse che trapelano dalla pelle della pittura in Schifano; le quali attraverso la sua lettura seducente e trasgressiva, rimandano persino all’invenzione della natura dipinta in magiche consistenze fluttuanti, in mille policromi riflessi e bagliori, dal grande padre Monet, fra la vegetazione e lo stagno di quel magico giardino di Giverny che, dalla realtà del nostro tema, resta tuttavia lontano in ogni senso, come un oggetto del desiderio in attingibile del quale è solo lecito sognare. L’opera di Ivo Stazio, e il primo biennio della sua pittura che questa pubblicazione documenta, è oggi una sequenza aperta: sia nella sua totalità, felice per gli esiti attinti ma pure protesa ad altri esiti e, si può ritenere, a diverse definizioni; sia per sua stessa identità, poiché si presta ad infinite ricognizioni ‘diagonali’ – fra percezioni frammentarie e concezioni integrali – dei dipinti compiuti, come se volesse suggerire accostamenti, compenetrazioni, contaminazioni in una vertiginosa, interrotta spirale percettiva. L’immagine prima e la materia della pittura poi, consumate con emozione mentale, ma anche con fisica e quasi ‘palatale’ voluttà dell’autore, ci consegnano infine la loro sola essenze residuale, ancora tattile, ancora pervasa di profumi e sapori, ancora pregna di molteplici stimoli sensuali. Ivo Stazio lascia che l’immagine della pittura collassi, e che il suo corpo materico smotti sino alla base delle tele, come se alludesse ad una splendida ‘impossibilità’ del fare ancor consistere un’opera d’arte. L’esercizio della pittura si propone come una sfida, forse vana, gloriosa forse, alla sua stessa storia, in qualche modo esausta per essere stata troppo ricca, troppo importante, per troppo tempo. Ma è anche una sfida…l’originalità, l’originarietà da sempre legate a quelle opere d’arte che, a lungo, nel corso dei secoli, hanno avvinto la mente ed eccitato i sensi. Allora vale comunque la pena di riprovarci, per ‘impossibile’ che sia la sfida. Forse per questo, Ivo Stazio lascia spesso che si depositino alla base dei suoi dipinti, quasi fossero (distrattamente, deliberatamente?) abbandonati, ritagli e resti materico-cromatici della pittura, i quali – nei dipinti compiuti – insistono come un elemento interlocutorio, come una sospensione di giudizio che metta in crisi l’idea del compimento. C’è da chiedersi se Stazio, fra masochismo e compiacimento, lo faccia per se stesso; oppure se, con una punta di malizioso cinismo, non lo faccia invece per gli altri, irretendoli nella trama di un rinvio infinito, da pittura a pittura, che lascia appunto ‘aperta’ la sequenza del suo lavoro; che rilancia quella sfida a tempo indeterminato. Questa ‘banda residuale’ della pittura nella pittura è come una tavolozza inesausta affidata virtualmente, volta per volta, all’ultimo dipinto, anziché venire di fatto risposta fra gli strumenti di lavoro dell’autore. Resti, frammenti, residui e ritagli di materia-colore: come dire embrioni d’altri dipinti, cellule di pittura pronte ad aggregarsi in nuovi corpi della pittura, codici genetici di opere potenziali che attendono solo di svilupparsi in forme diverse. Ivo Stazio li lascia depositati come punti di sospensione di un discorso incompiuto, provocandoci ad intuire il proseguimento, quasi compiacendosi di creare un’attesa; con il piacere sottile ed inconfessato di sapere che quel discorso verrà infinitamente ripreso; che la sfida non andrà disertata, proprio perché è impossibile.